Quale realismo?


GIOVANNA D'ARCO E JENA - QUALE REALISMO PER L'OGGI?

di Martin Peltier, 29 Aprile 2008

Quindici giorni fa ho invitato il professor Faurisson a Radio Courtoisie. Sono stato censurato in diretta e licenziato. Un amico (vero) ha sospirato: «Quando vedi un muro, bisogna inevitabilmente che ti ci scagli contro»! Gli ho raccontato che, avendo la mia testa incontrato inavvertitamente, poco prima, un camino di pietra, era stato quest’ultimo a rompersi. Mi ha riposto: «Sono cose che non succedono tutti I giorni». Sono stato ad ascoltare, per amicizia, i suoi innumerevoli rimproveri riguardanti il mio caso: testardaggine, accecamento, irresponsabilità non erano che le più palesi delle mie stupidaggini. Sono un po’ responsabile di questo modo di vedere: quando mi è stata tagliata l’antenna, sono andato via sorridendo, per non dividere la mia famiglia politica. Questo silenzio è stato mal interpretato. E' stato scambiato per la cortesia di un ingenuo o la rassegnazione di un pavido. È un errore. Ho trattenuto la mia collera, ma non era la confessione di un errore. Al contrario, sono convinto che è stata una buona cosa invitare Faurisson, e ora lo dimostrerò. Innanzi tutto, applichiamo all'oggi un famosa citazione: «Quando sono venuti a cercare Faurisson, non mi sono mosso...». Gli eccessi della prudenza non ci sottrarranno alla vendetta del totalitarismo, e un giorno dovremo ascoltare i rimproveri della nostra coscienza. Fatto questo richiamo morale, occupiamoci unicamente di politica, concreta e realista: oggi, l’invito di Faurisson rientra nella migliore strategia possibile. Si è parlato di muro; parliamo dunque di muri, poiché ci sono dei muri e bisogna farne qualcosa. Prendiamo un primo caso: il Vallo Atlantico. Se disponete delle forze congiunte dell’America e dell’Inghilterra, potete sbarcare il 6 giugno 1944 e non se ne parlerà più. Esaminiamo ora le mura di Gerico. Ciascuno leggerà la Bibbia come più gli aggrada, ma ciò che essa dice, in ogni caso, è che Gerico è caduta, e che è caduta in modo insolito, visto che il rapporto di forze apparenti non lasciava prevedere una simile conclusione. È così chiaro che la città sarebbe restata intatta dietro i suoi bastioni che Giosuè, scoraggiato, si arrestò al quarto o al quinto giro. È stato solamente al sesto giro che le mura sono crollate davanti alle trombe sacre. Quali insegnamento trarne? Eccolo: quando, secondo le previsioni umane, il rapporto di forza non presenta una soluzione soddisfacente, conviene utilizzare certi mezzi fuori dall’ordinario, e persistere con determinazione su questa strada, anche se apparentemente sembra un’assurdità. Ritorniamo alle nostre pecore, a Radio Courtoisie. Mi si dice: la legge, la giurisprudenza, le associazioni, le lobbies, la manipolazione degli spiriti, i media, la mollezza e gli interessi dei politici fanno sì che parlare di certe cose non serve a niente, e mette in pericolo il poco spazio di informazione che ci resta. Non bisogna, dunque, per una causa secondaria, del resto già giudicata da tempo, sacrificare una delle rare armi che ci permettono di difendere altre cause. Perciò, per quanto limitati siano i mezzi di Courtoisie, essa è utile alla Francia. Quindi, bisogna salvarla ad ogni costo. Sacrificare decine di giornalisti volontari, spesso di talento e coraggiosi, i loro invitati, non meno coraggiosi, la rete di amici e di informatori inseriti nei media, nell’editoria, in tutti i rami della società, e persino tra i politici, sacrificare decine di migliaia di ascoltatori, sacrificare tutto ciò sull’altare del revisionismo, non avrebbe senso. Sento questo messaggio, e non posso trattenermi dal riderne. È vero, a Radio Courtoisie ci sono dei veri talenti. Ma, visto che si parla di politica, di responsabilità, di strategia e di rapporto di forze, che cosa c’è dietro a Courtoisie? Jean Tibéri? Marine e Louis Aliot? Dupont Aignan, Catherine Mégret, i fratelli e le sorelle di Philippe de Villiers? Chi altro? Chi è che conta? Quante divisioni hanno? Abbiamo ciò che serve per organizzare un’operazione Overlord? No. In americano, si direbbe che sono peanuts (inezie, quasi nulla). Niente di più di un bretzel liquefatto (1). Allora, di realista non resta che la soluzione Gerico. Contiamo unicamente in virtù dello spirito, e solo una strategia dello spirito può essere efficace. Bisogna comprendere questo fatto. Le nozioni stesse di realismo e di responsabilità dipendono dalla situazione storica in cui ci si trova. Forse, quando il Front National riuniva tra il 15 e il 20% degli elettori, era ben inquadrato, e aveva alla sua sinistra una grossa riserva di voti e di potenziali alleati (prima, del resto, che le aule di tribunale e i media non fossero completamente colonizzati, prima che ci volessero più di due mani per contare i milioni di immigrati) forse si poteva nutrire la speranza, o l’illusione, in una politica classica dei rapporti di forze. Oggi non è altro che un sogno, e aggrapparvisi sarebbe un sintomo di debolezza mentale. L’unica politica realistica consiste nel tentare una rivoluzione spirituale. Diamo uno sguardo alla Storia per stabilire ancor meglio questa evidenza. Che cosa fare, quando si è vinti dall'invasore, per sopravvivere e preparare la riscossa? Ci sono, mi sembra, due casi di comportamenti radicalmente diversi:

1) Il re di Prussia (dopo la battaglia di Jena) poté collaborare con Napoleone, e il Maresciallo Pétain poté fare il furbo con Hitler, perché l’uno e l’altro speravano ragionevolmente che in fin dei conti il loro vincitore provvisorio sarebbe stato successivamente vinto da forze superiori alle sue. L’Inghilterra, avida di egemonia, seppe trarre a sé una Russia e una Austria che avevano ripugnanza per la Rivoluzione Francese. Il mondo ebraico, spaventato dalla rivoluzione tedesca, seppe mantenere insieme le plutocrazie anglosassoni e la tirannide sovietica; bastò attraversare la Manica per qualche mese. Nel caso del Maresciallo e del re di Prussia, una politica di riguardo e una collaborazione più o meno attiva dunque si comprende, aspettando e preparando il ritorno della marea.

2) Ma prendiamo ora in considerazione il caso di Giovanna D’Arco. In quel frangente, se si considera il rapporto di forze, la situazione era ben diversa. Al delfino Carlo VII non restava che un fazzoletto di terra e alcune città non molto forti, con truppe mediocri, stanche e mal pagate. La potente Borgogna, l’Inghilterra, l’Università di Parigi e la legalità del Trattato di Troyes gli erano avverse. In definitiva, non aveva rigorosamente nulla da sperare; doveva piegarsi. Ecco perché la strategia di Giovanna D’Arco fu netta e impeccabile: a dire il vero, non ce n’erano altre possibili. Non ce n’erano né per lei, né per Carlo VII, tranne che la loro duplice legittimità: quella che l'usanza del regno dava al delfino, e quella con cui Dio assegnò alla pulzella la sua missione. Erano le uniche forze che potevano controbilanciare i poteri del mondo e invertire il rapporto di forze. Se questa duplice legittimità è una fesseria, allora tutto ciò è fantasia, e Giovanna D’Arco, Carlo VII e la Francia che conosciamo non hanno altro da fare che scomparire. E tuttavia, alla fine, furono gli inglesi e le loro carabattole che finirono male. Questo fatto mi sorprende sempre, e non finisce mai di rassicurarmi.

Trasponiamolo all'oggi. Non si tratta di sacrificare Radio Courtoisie sull’altare del revisionismo: né l’uno né l’altro sono fondamentali. Radio Courtoisie è solamente una pedina tra altre pedine sulla scacchiera della Francia libera, e non si tratta nemmeno di difendere i revisionisti. Si tratta di giudicare la situazione politica e storica in cui si trova la Francia. Siamo nel 1429 o nel 1940 ? La risposta è semplice. Non abbiamo nessuna delle immense riserve che giustificarono l’Appel del 18 giugno e la politica di Vichy. Siamo anche sensibilmente più deboli di quanto non lo fossero il re di Bourges e i suoi sudditi. La nostra identità e la nostra sovranità fanno acqua da tutte le parti. Quindi, non abbiamo altra strategia possibile che quella di Giovanna D’Arco. Il rapporto di forze tra noi e gli eventuali alleati da una parte, e l’occupante dall’altra, è dello zero all’infinito. Ogni precauzione, ogni calcolo, ogni alleanza, ogni collaborazione, ogni costruzione tattica è dunque fuori portata, uno sproposito, e appartengono ad un mondo più virtuale che quello dei videogiochi. La nostra unica speranza è spirituale, la nostra sola forza è la legittimità della nostra causa. Ora, nel caso di Faurisson, con cosa abbiamo a che fare? Con le camere a gas? Non solo. Non denunciando il modo in cui il sistema tratta questo argomento, accettiamo di essere gli schiavi di questo sistema, e i suoi complici. Insieme a lui ci prendiamo gioco del diritto, della libertà, della verità e della giustizia. E ci prosterniamo davanti al piedistallo su cui si erge l’idolo dominatore che ci divora. Calpestiamo dunque la nostra causa, rinunciamo alla nostra legittimità, riduciamo a nulla la nostra forza, spezziamo per sempre la spada spirituale, la speranza che portiamo. Persistendo in questo errore, non solo finiremo per disonorarci, ma per suicidarci. Perciò, non dico che dare delle testate contro il muro sia una strategia molto piacevole, né molto disinvolta; non so affatto ciò che accadrà; constato solamente che non si può fare altro. Non mi faccio delle illusioni. Probabilmente unisco l’inutile allo sgradevole, e non sono che un piccolo sputo nell’oceano, una goccia irrisoria. Non importa: faccio ciò che devo. Spero che il Cielo ci aiuterà, altrimenti finiremo nella pattumiera della Storia, come d’altronde è stato tranquillamente programmato. Almeno avremo fatto ciò che occorreva fare e conservato intatta la possibilità di una vittoria. Al contrario, la sottomissione e le astuzie, che sembrano sottili e responsabili, non sono oggi che illusioni mortali, a causa del momento storico in cui ci troviamo. La strategia del sacrificio è l’unica ragionevole.

(1) Biscotto salato con semi di cumino, tipico dell’Alsazia.